GROUND WATER

GROUND WATER è un progetto di Andreco (Roma, 1978), esposto tra Marzo e Maggio 2021 nel cortile e nelle vetrine dello SpazioC21 a Palazzo Brami, in via Emilia San Pietro 21, a Reggio Emilia.

Il gruppo di opere – composto da quattro grandi tele ed un’installazione scultorea disposta al centro del cortile – affronta il tema dell’acqua, della sua vita e della sua scarsità.

Le cinque opere alimentano la riflessione dell’artista su un tema ad alta carica emotiva nella nostra società contemporanea: gli effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente in cui viviamo, sulla vita che sgorga da una goccia d’acqua – idealmente raffigurata dall’installazione Rain Drop 1 al centro della scena – che cade dal cielo, si deposita in una pozza, scava la roccia, attiva una fonte, alimenta una faglia e irrora l’ambiente.

Il contraltare della goccia – la materia inorganica e i minerali che Andreco rappresenta nelle sue tele – sono le cavità senza vita nelle viscere più profonde della terra, l’assenza di acqua, che pur essendo un trionfo di architetture naturali, il regno magico delle stalattiti e delle stalagmiti, possono anche essere il paradigma della sterilità, della siccità e della morte.

“Il protagonista dei dipinti è il vuoto – dice Andreco – lo spazio conquistato dalla risorsa idrica grazie a fenomeni fisico-chimici di trasformazione della materia. Le tele svelano l’invisibile, mostrano il bagliore che illumina le cavità sotterranee, osservato dalla prospettiva oscura del loro interno. L’operazione intende costruire un terreno di rispetto e di cura nei confronti delle geologie profonde e delle risorse naturali, un’azione indispensabile per instituire un equilibrio simbiotico tra gli esseri viventi e l’ecosistema planetario di cui fanno parte.”

L’inno alla vita, che Andreco mette in scena nello SpazioC21, è ispirato al glicine che domina il cortile e che cresce sulla torre nella parete a nord, arrampicandosi con energia verso il sole; un arbusto che trae la sua vita e la sua forza proprio da una faglia acquifera sotto l’acciottolato e ci rinnova con la sua splendida fioritura primaverile quanto una goccia possa dare vigore ad un’esistenza.

Questa riflessione di Andreco sull’acqua, integrata nel metatema della sostenibililità ambientale e dei cambiamenti climatici che sono al centro della sua riflessione artistica, rimanda l’osservatore alle sue reponsabilità nei confronti dell’ambiente. La goccia d’acqua è metafora di vita; la sua assenza è fine della stessa!

Se uno degli scopi dell’arte è sollecitare il dibattito e la riflessione sul nostro futuro, l’artista ci indica una via. Il suo linguaggio, immediato, minimalista e rispettoso, ci offre una lezione di responsabilità civile ed un invito ad un nuovo futuro.

Il testo critico “Ground Water” che accompagna l’installazione è stato curato da Claudio Musso e le fotografie sono state realizzate da Fabrizio Cicconi.

 

GROUND WATER di Claudio Musso

No, non è un film.

Non è possibile trattare la fondamentale quanto delicata “questione idrica” come fosse una delle tante pellicole distopiche di fantascienza.

Il cambiamento climatico è in corso e l’essere umano ne è parte integrante, prima ancora di esserne in qualche modo la causa principale.1 Non è una goccia nel mare che potrà invertire i processi in corso e, di certo, mai come oggi la sensazione che la goccia abbia fatto traboccare il vaso è stata così limpida: il mondo non si cambia da un giorno all’altro, ma goccia a goccia si scava la pietra.

Qual è allora il viaggio della goccia? «[…] il nostro sguardo non é abbastanza ampio da abbracciare nel suo insieme il circuito della goccia e ci limitiamo a seguirla nei suoi giri e nei suoi salti, da quando appare nella sorgente fino a quando si mescola con l’acqua del grande fiume o dell’oceano».2 Il progetto Ground Water dell’artista Andreco (Roma, 1978) sgorga proprio dalla fonte di questa affermazione: seguire il percorso delle acque laddove scompaiono ai nostri occhi e si interrano aprendo solchi cavernosi. Per questo l’acqua, il suo flusso, le sue caratteristiche fisiche, perfino il suo (non) colore sono scomparsi dalle raffigurazioni che occupano le grandi tele. Sono presenze in assenza, lacune in grado di parlare di ciò che le ha generate, tentativi di tracciare i confini del vuoto, sono vacuum form. Del resto nelle cavità sotterranee vacuo risuona con acqueo, e sono proprio i bacini idrici, aldilà delle loro dimensioni, a costituire la più potente forza di modellazione della pelle terrena del Pianeta. Rivoli, rigagnoli, canali, torrenti e perfino fiumi scorrono al di sotto della crosta terrestre e nelle profondità creando luoghi irraggiungibili, dove talvolta si sviluppa la vita. Scriveva Giuseppe Penone nel 1980: «I due perfetti, totalità dell’immagine, il fluido e il solido nel lento fluire delle acque, producono scultura. […] Il fiume è dotato di una agilità meravigliosa, il suo scorrere è continuo insistente metodico tattile ed eterno. […] Il fiume trasporta la montagna è il veicolo della montagna».3

Quando l’acqua si dilegua cosa resta? Le più note concrezioni calcaree formatesi in seguito alla perdita di anidride carbonica dalla superficie delle gocce d’acqua sono le stalattiti. Anch’esse appaiono come forme plastiche, frutto di un processo scultoreo, possono apparentarsi alla statuaria quando si ergono come obelischi inversi o quando svettano come pinnacoli, possono perfino figurare al pari di elementi architettonici quando nelle grotte carsiche si spingono fino al pavimento come colonne in una navata. Le cromie che contraddistinguono gli antri cavi dove si riversano i residui acquosi si inseriscono prepotentemente nella tavolozza dell’artista, dagli ossidi ferrici alle terre, dai solfati ai carbonati, fino alle candide opacità minerali. Gli elementi rocciosi che pervadono le composizioni dipinte emanano una lampante forza centripeta: come diaframmi si restringono puntando il fuoco verso il centro del quadro, verso il biancore niveo, lo spazio lasciato dall’acqua. Liquidi che evaporano, residui che si sedimentano, reazioni chimiche e passaggi di stato atti a descrivere le trasformazioni degli elementi naturali con l’occhio meravigliato dell’alchimista. La natura raccontata per simboli riacquista una centralità nel discorso pubblico non solo come emergenza ambientale, ma come parte attiva del flusso vitale anche nel presente. I luoghi remoti, esplorati seguendo il tragitto delle acque, più che interni posso definirsi interiori perché in essi anche il tempo assume proporzioni di carattere geologico. Non è la velocità di scorrimento di un liquido in un condotto a dettare il ritmo nelle spelonche che si offrono come scenario, piuttosto è l’incedere cadenzato di una goccia fissata nell’attimo in cui, raggiunto il pelo dell’acqua, è in procinto di dissolversi. È la stessa goccia da cui il ciclo ha avuto inizio, che porta su di sé gli spigoli della roccia, la memoria del cammino compiuto, le tracce che acqua e terra si sono vicendevolmente scambiate.

Dettaglio

solo show 

Anno

2021

Location

C21 – Reggio Emilia